Questo sito si serve dei cookie tecnici e di terze parti per fornire servizi. Utilizzando questo sito acconsenti all'utilizzo dei cookie.

 Ad essere sinceri, lo spessore di “Cavalcare le vette” e lo stesso argomento, a me tutto sommato un po’ estraneo, avrebbero immancabilmente condannato questo libro a restare a lungo nello scaffale ché le occupazioni incessanti, le letture mirate e gli impegni scribacchini mi han fatto negligere più di una lettura venale, tra le quali perfino quella de “la guerra di Hitler”.
Sapevo però quanto Maurizio tenesse al libro – e ad Omar ovviamente – ed ero certo che lo avrei rivisto presto; non potevo deluderlo al punto di essere evasivo quando mi avrebbe domandato le mie impressioni, sicché mi accinsi a leggere l’opera; me lo imposi come compito, come dovere.
Avrei sicuramente trovato, pensavo, qualche elemento da enfatizzare e da far risaltare, col che sarei riuscito a non deludere le aspettative di Maurizio. Per un fatto di educazione e di sensibilità più ancora che per diplomazia.
Sicché ripresi tra le mani il 48esimo di mille esemplari numerati di quest’opera di cinqucentocinquantacinque pagine e mi misi stoicamente all’opera.
E devo aggiungere che la Prefazione fu all’altezza delle mie aspettative in quanto mi parve ostica e densa. Poi entrai nel Capitolo Primo…
Entrai è proprio la parola giusta.
Non è necessario essere alpinisti (io non lo sono sicuramente) né aver conosciuto Omar (non ho mai avuto occasione di incontrarlo né avevo mai sentito parlare di lui prima della sua morte in vetta) per entrare nell’atmosfera al contempo sobria e magica, umana e metafisica, che Maurizio ha creato, o per meglio dire, celebrato, in questo suo Dono immortale all’amico scomparso, al camerata che ha incontrato il Destino al crocevia tra il cielo e la terra. E che lo ha fatto restando fedele alla sua costante pulsione duplice: personale e impersonale, seria e scanzonata, filosofica e militare; così tanto fedele alla pluridimensionalità che la sua tragedia, il suo punto di rottura, il suo estremo momento, tutto questo ha avuto per contrassegno addirittura un motivo totemico, come ci ha rilevato Maurizio in “nel segno del capricorno”. Straordinaria prova questa, a mio avviso, di un’interezza, di una Fedeltà alla natura ed alla terra anche nel varcare il cielo.
Leggendo “Cavalcare le vette” ho potuto, forse, scoprire Omar; Maurizio certamente.
Come gli ho detto, molto più che non un analista, un razionalista, un programmatico, quale vorrebbe essere o comunque cerca di essere, Maurizio è un poeta, un lirico, un artista.
Un artista vero, non cioè un narcisista  schiavo dei propri virtuosismi, ma un artigiano impersonale, pre-moderno, schivo, che ama la materia perché vi intravede e vi persegue la forma, che accomuna il pathos alla chirurgia, entrambi imbrigliati e volti al fine di un’opera. È in questo senso che la vita è arte e poesia, né più né meno della milizia.
Ed in questo senso l’omaggio ad Omar, pur restando umano, profondamente umano, mantiene l’oggettività impietosa di chi si fa cantore di un’opera esistenziale, di un’ascesi, di un’odissea assai personale ma cionondimeno universale.
È così che Omar, attraverso i suoi scritti intimi ma anche, se non più ancora, grazie al filo poetico ed alla visione chirurgica di Maurizio, si fa al contempo Omar, cioè una persona di certo eccezionale, ed un emblema, un paradigma universale.
Un mito greco del tutto moderno al quale un compositore di Broadway avrebbe potuto adattare un musical non meno valido di “West Side Story” o dell’ “Orfeo Negro”.
Come ha giustamente fatto notare l’autore (o meglio il co-autore visto che lo ha composto insieme ad Omar Vecchio) questo libro ne racchiude tanti.
Anche l’Odissea però ne racchiude tanti e, a mio avviso, “Cavalcare le vette” è proprio un’ Odissea alla James Joyce; è in qualche modo un viaggio iniziatico che prende l’avvio nello squallore dell’hinterland lombardo, nella falsità ipocrita dei seminari, nei licei sperimentali, tra indiani metropolitani, autonomi e siringhe: di che ambientare una “Notre Dame de Paris” alla Cocciante.
È la storia vera di una ricerca del Cielo a partire dall’Inferno, seguendo, spontaneamente e senza premeditazione, il più classico dei percorsi iniziatici che ci è giunto dall’Ellade, dall’Indoeuropa più antica, dallo stesso Dante Alighieri.
Eppure in questa crescita, che diviene prima affermazione e poi superamento dell’io, in questa continua acquisizione di potenza che sempre si accompagna alla ricerca di semplicità e di essenzialità, non vi è un canovaccio preordinato, un disegno perseguito coscienziosamente. Ma vi è una sorta di coscienza metafisica: troppe volte ritorna la sensazione della predestinazione, troppe volte affiora il Ricordo di qualcosa che non è ancora accaduto, perché si possa disconoscere il motivo sacrale dell’intero cammino.
Un cammino che né Omar né Maurizio hanno voluto individualizzare, piuttosto simboleggiare nella tematica eroico-ascetica dell’alpinismo inteso come l’arte marziale occidentale.
Un tema, questo, degno di approfondimento e destinato ad avere un futuro.
Che dire di più ? Come per “Così parlò Zarathustra” si potrebbe sostenere che “Cavalcare le vette” è un libro per tutti e per nessuno. Sta al lettore trovare la sua giusta collocazione tra questi due estremi, una collocazione che, nel solco immortale, oggettivo, stavolta impersonato da Omar, sta nella loro congiunzione ultima, nella sintesi assoluta e trascendente.
E quest’Odissea ne rappresenta in qualche modo una costante ricerca, o, piuttosto, un graduale avvicinamento.
Ragion per cui, mettendo costantemente sotto esame, sotto verifica, noi stessi, non ci resta che seguire l’aedo Maurizio ed accingerci ad accompagnare Omar nel suo Eterno Ritorno.