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Un mondo che cambia, una società che implode e si articola di nuovo secondo leggi inedite, un potere sempre più oligarchico, tecnocratico, centralizzato, arrogante, violento, sleale, incivile, liberticida. Questo il quadro in cui i registi dello spettacolo del terrore, in cui i mercanti d’emozioni e di opinione, in cui gli individui atomizzati e abbrutiti – che siano pedofili, satanisti, integralisti, progressisti o più prosaicamente partigiani di quel totalitarismo chiamato tolleranza – banchettano sui resti della dignità umana.

 

Tra il deserto e i naufraghi

 

La maggioranza si è assuefatta a un convivere apatico e feroce, squallido e morboso, a quel vegetare ignobile in cui langue un occidente post/sociale e post/civile; alcuni invece ancora provano l’anelito ad un mutamento radicale, epocale, globale che viene cullato più che come speranza come un vero e proprio miraggio da chi non si rassegna ad essere tritato e digerito dalla peggior espressione di civilizzazione che l’uomo ricordi.

Costoro però, che si situino alla destra radicale o alla sinistra estrema, hanno perso il passo e pretendono di rispondere a scenari nuovi, a dinamiche originali, a meccaniche da scoprire, con modelli d’altri tempi. Modelli che oramai non funzionano, che puntualmente falliscono, ma ai quali i più s’aggrappano come naufraghi che abbiano il terrore di mettersi a nuotare.

 

Refrattari e passatisti.

 

Così si spiega il prolungato dimenarsi in preda a cecità e furor panico che ha contrassegnato l’ultimo decennio di vita di quelle aree che si vorrebbero antagoniste ma che, di fatto sono semplicemente refrattarie al cambiamento in atto.

A quell’andazzo terribile e allucinante cui vorrebbero sottrarsi, ambo le aree intenderebbero però opporre un ritorno al passato. Che si tratti di un passato fallato e decadente come fu quello oggi idealizzato dagli integralisti religiosi, di uno criminale e fallimentare qual è stato quello evocato dai nostalgici del comunismo o piuttosto di un passato efficace e innovatore, ma militarmente stroncato dalle forze della quantità cieca, sorda, oscura, di passato sempre si tratta, ché di innovazioni, rifondazioni, rigenerazioni si vede ben poco. Il passato in quanto passato è così divenuto un’alternativa estetica, un’astrazione empirea, con la quale si pretenderebbe di qualificare un’alternativa che, fattualmente, non è ancora stata delineata. In questa spirale patologica si è talmente alimentata la mitizzazione di quel che fu che con l’andar del tempo non più i reali modelli alternativi vengono perseguiti ma addirittura le loro inutili, scimmiesche, copie sbiadite. Tanto che c’è persino chi pretenderebbe di rifondare il Msi che a questo punto ci viene contrabbandato come chissà quale forza epica e romantica mentre ben sappiamo che, a voler esser buoni, si trattò di ben modesta cosa.

 

Estreme fossili

 

Da quest’enorme equivoco è nato anche il grande errore d’interpretazione commesso nei confronti dei Ds e di An da parte delle loro appendici estreme le quali tuttora pretendono che queste forze politiche siano il frutto di un tradimento e non l’evoluzione naturale delle rispettive storie di partito. Invece Pci e Msi erano già, in tempi che preludevano il cambiamento oggi così chiaro, Ds e An in pectore. Solo le loro ali estreme corrispondevano in parte alle attuali appendici che si collocano al di là del bipolarismo, ma se trent’anni fa poteva esser lecito ingannarsi e confonderle con delle avanguardie, oggi hanno ampiamente dimostrato di essere solo delle goffe tartarughe.

In particolare il fallimento della triplice ultradestra nel tentativo di capitalizzare lo “strappo di Gerusalemme” è eloquente. La mancanza di progetti, di realismo e di prospettive convincenti ha frenato la pur grande voglia di sanzioni nutrita dagli elettori alleanzini soggettivamente fascisti.

 

Chimere e inganni del dopo-Gerusalemme

 

La risposta allo “strappo”, nel nome di quel nome, si è rivelata un fallimento. Personalmente avevamo preso da subito posizione, fermamente ma con toni moderati, scrivendo sin da gennaio quel che sarebbe successo. Riprendemmo il tema per il numero di maggio in imminenza delle elezioni. Siamo stati buoni profeti ma non ce ne facciamo un vanto: la profezia era facile, scontata. Alcuni intorno a noi intanto scalpitavano, chi per partecipare allo spettacolo della politica chi per dar spettacolo contro quell’avanspettacolo della politica. Ci siamo invece contenuti perché, sebbene non fossimo minimamente ottimisti, mai vogliamo mai negare a chicchessia o a qualsiasi impresa la possibilità di una maturazione.

Di maturazioni per ora non se n’è viste.

Intanto, se ci fossero la dovuta serietà e un adeguato criterio politico, nei piani alti della triplice antagonista si dovrebbero far cadere diverse teste.

In particolare si dovrebbe dare il benservito (o perlomeno un netto ridimensionamento) alla Mussolini che ha si fatto man bassa di preferenze provenienti dalla Fiamma ma non è riuscita a portare, di suo, dal di fuori, più di cinque o seimila voti. Una débacle viste le aspettative e i proclami della vigilia.

Intendiamoci, l’operazione è servita a Forza Nuova che si è ottimamente inserita nella scia della nipote di cotanto nonno sicché, strappando voti e rimborsi che altrimenti sarebbero andati alla Fiamma, ha ottenuto un’iniezione di finanze. Stesso dicasi per il Fsn (benché Tilgher ora prema per il partito unico). Infine una deputatessa non più presentabile in An continuerà a vivere comodamente con i soldi del contribuente.

Il che forse non era l’esclusiva ragione della sua mossa d’orgoglio ma ne è in ogni caso l’unico effetto certo.

Insomma, un interesse individuale e alcuni interessi di scuderia sono stati salvaguardati, ma l’occasione politica si è persa, forse per sempre. 1

Il che era chiaro già dall’inizio a tutti, meno coloro che chiudono gli occhi per non vedere, ché l’albero è nel germoglio e proprio il germoglio è qui guasto e lì acerbo. Quel ch’è acerbo può sicuramente maturare, a patto però di restar ben separato da quanto è guasto.

 

Esteriorità o radicamento

 

Ma non si tratta affatto di Fini, della Mussolini o di chiunque altro.

L’alternativa non è più, né può più essere personale, immaginifica, statica, estetica, moralistica, verbosa, gestuale. L’alternativa non può neppure essere propriamente antagonistica, in quanto pretendere di sfidare il potere soprannazionale invece di mettersi fattivamente all’opera per cambiare il proprio habitat e, di lì, con l’esempio, incidere a macchia d’olio sulla società, è indice di puerilità o di rimbambimento. Nessuna concorrenza formale, nessun dualismo valoriale può ingannare ancora: ognuno si avvede di quanto tutto ciò sia vacuo. L’alternativa è radicale ovvero sta nel radicamento.

Autonomia esistenziale, difesa degli spazi sociali, qualifica delle élites, perseguimento di una lobby di popolo: queste le grandi assi di una linea radicale che abbiamo teorizzato anni fa e che si sta tracciando.

 

Passi sicuri, passi pesanti e lenti; neanche troppo

 

Di strada ne abbiamo percorsa. Azioni spesso autonome e non coordinate, comunque non preordinate, si sono rivelate convergenti, concrete e, quel che più conta, esemplari e formative. Azioni che sono state raramente accompagnate dalla visibilità, perché, per scelta, noi abbiamo deciso di prediligere la sostanza quasi ignorando l’immagine.

Lo spettacolo della politica per noi è, resta e rimarrà assolutamente secondario.

Che si parli di metapolitica in senso stretto o di Occupazioni Non Conformi presto evolute nelle Occupazioni a Scopo Abitativo che hanno fatto tanto rumore su scala nazionale ed internazionale mettendo in forte discussione il monopolio della sinistra, da tempo scaduto in un opportunismo speculativo. Che si tratti d’innovazione di linguaggio e di progressi nella comunicazione (si pensi a noreporter) o della progressiva, felice, emancipazione di molti quadri giovani. Che si parli di premesse a vere e proprie imprese formative (Polaris) o di consolidamento di comunità e cooperative di lavoro. Che si tratti di spirito di sacrificio fuori dalla portata dei riflettori e dalla gratificazione narcisistica (oltre tre anni di Guardia d’Onore cui si potrà connettere presto il progetto Alpe Polaris). Che si parli dell’una o dell’altra cosa, è innegabile che di strada ne abbiamo percorsa. E, quel che più conta, noi l’abbiamo lastricata, solidificata, abbiamo seminato ed abbiamo curato assiduamente e meticolosamente quel che era stato seminato.

 

C’è non poco da correggere

 

Non è che un inizio, un avvio di cose serie, non privo di difetti da correggere se non da estirpare. Primi fra tutti il pervicace particolarismo di molte comunità e la generale tendenza di validissimi capi locali al non coinvolgersi più di tanto nelle visioni ad ampio raggio, nelle concezioni complessive, l’abitudine all’affidare ad altri l’incombenza di pensare in modo comune, articolato e prospettico. Superare questi difetti, più altri che permangono (la rara capacità di distribuzione dei prodotti) o che sono in via di guarigione (la scarsa comunicazione delle notizie) è la nostra prossima scommessa.

Di tutto il resto possiamo dirci soddisfatti, e, visto che siamo spiccatamente autocritici e che pretendiamo molto, proprio perché siamo tutt’altro che facili da accontentare, questa soddisfazione non è un dato irrilevante.

Siamo soddisfatti perché stiamo realizzando una mutazione di linguaggi e di prospettive, perché stiamo innovando, perché stiamo formando, perché agiamo in concreto, fianco a fianco con la gente comune e ci siamo lasciati alle spalle i musei delle cere nei quali si sono lungamente irrigidite l’ultradestra e l’ultrasinistra.

 

La fretta: ultima cattiva consigliera

 

Abbiamo, dunque, dato un calcio alla routine e ai riflessi condizionati. Resta, come cattiva consigliera, solo la fretta.

Qualcuno, più d’uno, vorrebbe un’accelerazione. Qualcuno, più d’uno, vorrebbe che le occupazioni, che le cooperative, che le personalità guida fossero capitalizzate con una svolta “politica”. Che poi la s’intenda come creazione di un nuovo partito o movimento, come l’occupazione di quote di potere in un partito esistente, come un accordo al vertice o in un altro modo ancora, poco importa. Quel che importa è che questa brama è di per sé sbagliata. Alla sua origine ritroviamo il già indicato complesso del naufrago, ovvero la tema di muoversi senza la protezione delle etichette, fuor dalla visibilità, senza il conforto ingannevole delle bandierine.

Nella società dello spettacolo la verità però è sempre l’opposto di quella che sembra. Fare un passo del genere, qualunque dei passi sopra indicati, non significherebbe passare dalla metapolitica alla politica ma smettere di fare politica. Perché la politica oggi la facciamo solo noi e pochi altri. E chiunque la faccia, la fa così: con il radicamento, la formazione, la comunicazione e la costituzione di lobby.

 

Quello spettacolo della politica che ci si svolge accanto

 

Nel lungo deserto da attraversare, ovviamente, non c’è posto solo per comunità improntate allo spirito del fight club o per isole felici. La formazione di uomini liberi e di quadri intelligenti non è sufficiente se poi questi non sono in grado di colloquiare a destra e a manca, di traforare la corazza dietro la quale s’isolano coloro che ci isolano. Serve una capacità politica in senso lato, una perizia nel farsi pendolo, una tendenza ad una rifondazione completa, che fuoriesca dai cristalli ideologici e dal solito, consunto, linguaggio preconfezionato.

 

“Nel mondo le cose migliori non giovano a nulla se non v’è chi le rappresenti(…) Il mondo gira intorno agli scopritori di nuovi valori: gira invisibilmente. Ma intorno agli attori gira il popolo”

 

La politica classica, schematica, quella che dà spettacolo di sé è effimera, fatua, ma non del tutto inutile: ha un ruolo, che però va riconcepito e soprattutto ridimensionato.

Proprio perché consapevoli di ciò, guardando in prospettiva, mai abbiamo chiuso le nostre porte a chicchessia, e abbiamo tenuto invece aperto il nostro sguardo a centottanta gradi e oltre. Insomma abbiamo saputo aspettare.

Non abbiamo rifiutato in blocco le realtà, spesso virtuali, dello spettacolo della politica a causa del teatrino di miserie umane che il più delle volte hanno inscenato, né le abbiamo messe all’indice per le proposte e per i messaggi che hanno sbandierato, invero imbarazzanti, a volte patologici che in certi casi parevano concepiti da repressi sessuali. A tutto questo mai abbiamo dato peso perché sapevamo che si verificava in stagni, in laghetti, mentre noi ci occupiamo di torrenti, di fiumi, di preparare le piene. Piene che trascineranno anche le acque chete, immobili, stagnanti, affogando i ranocchi e sciogliendo i grumi di fango.

Noi siamo persino convinti che ci sarà posto, un giorno, nel mondo concreto, anche per le forme attraverso le quali la politica si fossilizza nel mettersi in scena rispetto al mondo. Dunque per i partiti di opposizione, purché completamente rivoluzionati.

 

“Ti si chiama la mia scimmia, o pazzo furioso; ma io ti chiamo il mio maiale grugnente; col tuo grugnire mi guasti il mio elogio della pazzia.”

 

Ci sarà posto allorquando chi ancora si pretende uomo o donzella della provvidenza avrà iniziato a recarsi dallo psichiatra; allorché i partiti avranno imparato ad essere CdA di forze vive, a rapportarsi con esse, a tracciare bilanci e a fare progetti, progetti non proclami al vento. Quando i loro vertici (vertici ?) avranno smesso di giocare come in borsa, di speculare su voti romantici e protestatari ricevuti in rendita e catturati con un messaggio che veicolano ma al quale i suoi rappresentanti, impreparati e non selezionati, inesperti e non provati, solitamente non corrispondono, dunque mediante una sofisticazione del prodotto umano.

 

Rifondare: cosa ? Perché ? Con chi ?

 

L’appendice dello spettacolo/politica va riformata da capo a piedi; così com’è ha fatto il suo tempo.

Se ne avvedono tutti: ultimamente ci sono stati rivolti non pochi inviti a partecipare fattivamente ad un ricompattamento, ad un rilancio, ad una ristrutturazione, ad una ripresa di quella macchina zoppa e divisa. Taluni, ancora affetti da riflessi condizionati ormai vetusti, pensano non solo che la nostra partecipazione gioverebbe, ma che questo sarebbe un passaggio indispensabile, capitale, strategico, anche per noi. Non lo è: una “rifondazione” potrebbe – a certe condizioni - dimostrarsi qualcosa di positivo - per l’area, per la comunicazione politica, per la geometria politica, risultando, come ricatto indiretto alla direzione, preziosa persino a certe frange di An - nulla più.

Nulla più, perché quel carapace che si chiama partito, seppur conserva un ruolo potenziale, più non riveste quello centrale e più non è luogo d’avanguardia. Né c’è da attendersi, per il futuro, alcunché di definitivo e di vincente per suo mezzo, essendo quest’istituto si residuale e comunque utile, ma strategicamente superato. Dunque ben venga una sua eventuale rifondazione, che in ogni caso non ci sembra imminente, purché non ci faccia perder nemmeno un minuto, non ci distolga testa ed energie.

Una simile ristrutturazione, purché totale, purché azzeri sclero/gerarchie e metta fine a condizionamenti psicologici, linguistici e comportamentali, potrebbe rivelarsi produttiva. Si deve però capire, una volta per tutte, che la funzione di un partito non si situa a monte bensì a valle, utile cioè da un lato a dar visibilità a quanto le élites e le forze vive compiono, dall’altro a far conoscere queste ultime a chi, avvicinandosi per la prima volta alla politica, passa dalla periferia, cioè i partiti, ma per andare oltre, per agire e non per impantanarsi. Per entrare, dunque, nei canali d’organizzazione sociale che dai partiti non dipendono. E, per chi in un partito coglie l’importanza di questa verità, c’è persino un ritorno in termini di potenziamento sia personale che di sigla. Ma in quanti lo hanno capito ?

 

“In verità Zarathustra è un vento impetuoso per tutto ciò che sta in basso, e questo è il consiglio ch’egli dà a tutti quelli che vomitano e sputano: guardatevi dallo sputare contro vento !”

 

Al contrario di quel che dovrebbe avvenire, invece, i messaggi, quando passano, vengono distorti, denigrati, accompagnati da menzogne o da corrosive battute in quanto le piccole nomenklature che occupano le caselle dello spettacolo della politica antagonista nemmeno provano imbarazzo nel mostrarsi volgari, calunniatrici e gelose. Nell’intento di conservare galloni abitualmente attribuiti con superficialità, esse chiudono i vasi comunicanti nel fondato timore che, facendo il confronto con chi opera e si seleziona sul terreno, i militanti più non si riferiscano gerarchicamente a quelli tra loro (e sono tanti) che sono stati designati responsabili locali perché sono buoni cortigiani o capi di sparute bande urbane. E nella speranza, infondata questa, di conservare i giovani in salamoia: uno stratagemma che dura poco perché, delusi, i migliori se ne vanno comunque e così si perdono definitivamente.

 

Porte aperte…

 

Dunque le nomenklature dei partitelli sono in gran misura composte da individui meritevoli di fucilazione. Nessuna rifondazione sarà possibile se prima queste non saranno azzerate per effetto di una rivoluzione culturale autentica e continuativa.

Ma questa rifondazione non la si chieda in ogni caso a noi che già ci occupiamo di costruire e di perfezionare quei canali d’intervento diretto che abbiamo descritto.

Il dislivello vigente fra noi che facciamo politica senza dare spettacolo e coloro che esercitano lo spettacolo della politica è notevole e non sta certo a noi tirare il freno per colmarlo, ma a loro mettersi al passo con la nuova marcia.

Cominciando col dimostrare disinteresse, col rinunciare al rinnovo delle cariche ed alla guida vitalizia di gruppi, movimenti e partitelli, col mettere a disposizione di tutte le forze creative e produttive gli strumenti esistenti. Iniziando a formare e soprattutto a farsi formare ché, formati, questi paladini della politica/spettacolo in troppi casi non lo sono proprio.

Cominciando a fare la guardia, a montare i palchi, a strumentalizzare se stessi, a rinunciare ai narcisismi, al comportarsi come capetti per diritto divino; iniziando a dare senza chiedere: perché qui sta la chiave di tutto, in questo tutto risiede.

 

…e porte sprangate

 

Per gente così ci sarà sempre posto a fianco a noi. La sapremo attendere.

 

“Il nostro cammino ascende (…) a noi ripugna il senso degenerato che dice: tutto per me !”

 

Per chi invece pensa che egli stesso, o il suo recente partito siano un valore in sé, per chi non è al servizio di un ideale, di una comunità, di una tipologia antropologica e del popolo nel suo insieme ma ritiene di avere il copyright per capitalizzare una porzione di scontento, per chiunque non si mette in discussione ogni giorno, gettando alle ortiche ogni medaglia già guadagnata per ricominciare daccapo in sordina, per tutti coloro che non hanno fatta propria Sparta, che non hanno permeato lo spirito degli Arditi e delle Brigate Nere e, non essendoci riusciti, anziché donarsi con umiltà hanno preso a giocare ai bravi o ai buffoni, le nostre porte saranno sempre sprangate.

E dietro quelle porte la nostra azione proseguirà puntuale.

 

In ogni caso avanzando

E qualora dovessimo arrenderci all’evidenza che narcisismo, mediocrità ed egotismo permangono le molle della gran maggioranza di chi facendo politica in realtà inscena se stesso (persino il fascismo prima del venticinque luglio non fu immune da saltimbanchi) non faremo che intensificare la preparazione di quadri militanti impersonali che, una volta divenuti, forse in un paio d’anni, numerosi e ovunque presenti a macchia di leopardo, sapranno tenere a briglia i parodianti e, come da tradizione politica nazionalrivoluzionaria, metteranno tutto il loro, tutto il nostro peso, sui bilancini di gruppi, partitelli e partiti intesi, questi, in tal caso, senza distinzioni puramente soggettive di valore, ché il valore non va proclamato ma provato nei fatti. E di prove fattuali da tempi immemorabili se ne vedono poche.

Da cosa nasce cosa; nulla dalla frenesia, dal fracasso, dalla fretta. E a noi piace agire discretamente, silenziosamente, ma bene, nella gioia più assoluta e scanzonata.

Certi che dall’esempio si seleziona, che il simile si ricongiunge al simile e che le maturazioni si provocano soprattutto in questo modo.

Continuiamo: chi vuol imparare a volare un giorno deve dapprima apprendere a camminare, a correre, a saltare, a danzare…

Il volo non ci è precluso: perché abbiam messo solide radici in terra.

 

Tutte le citazioni sono tratte da “Così parlò Zarathustra”.

1 La portata dello spreco risulterà ancor più evidente se teniamo conto del fatto che l’ultradestra ha sfruttato una legge elettorale premiale per le liste deboli. Tanto che proprio il presentarsi divisa le ha consentito di far eleggere due eurodeputati anziché uno. Ma questa legge vige solo in Italia ed è prevedibile che tra cinque anni, vista la tendenza a regolamentare la UE, verrà inserita anche qui una soglia come negli altri Paesi. Una soglia che generalmente è del 5%.

Con un bottino globale, in fondo assai misero, di seicentocinquantamila voti, l’estrema destra italiana ha mandato due deputati a Strasburgo, questo quando il Bnp in Inghilterra, con ottocentoottomila voti non ha passato lo sbarramento ! Le elezioni europee sono le uniche in cui un partito estremista possa ottenere un risultato, ma, viste le prospettive, presto non ci sarà più trippa per gatti. A meno di un rivoluzionamento totale che non s’intravede neanche come possibilità. Chiunque può rendersi conto, allora, di come ci si trovi alle prese con un canto del cigno, ad uno sparecchiare la tavola dopo il dessert.